I libri del 2022

Andrea Zanni
19 min readJan 3, 2023

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Non guardate le stellette, non sono capace di avere dei rating coerenti.

Ogni anno, arrivato a dicembre, penso al mio anno di lettore e lo definisco “strano”. Non so neanche bene perché, non ha molto più senso. La pandemia, il lavoro, tommi, le preoccupazioni — in una parola, l’adultità — mal si conciliano con quella beata spregiudicatezza dell’essere un lettore dedicato. Del coltivare con una certa spregiudicatezza il proprio giardino di letture.

Quest’anno si è aggiunto un ulteriore motivo: ho gestito i social (Twitter e Facebook, la bellezza del profilo Instagram è tutta dovuta ad altri) di Adelphi. Chi ha parlato con me anche solo dieci minuti sa che io ad Adelphi voglio bene, ci coltivo una complicata relazione da circa ventitre, ventiquattro anni.

Questa relazione quest’anno è diventata ancora più complicata: abbiamo iniziato a convivere, diciamo. E la mera quantità di ore che ho dovuto passare assieme ai libri adelphiani ha cambiato molto, della mia percezione. Intanto, sono ore lavorative: ci ho speso tempo e fatica, ho seguito eventi, ho seguito tutte le uscite, leggendo la rassegna stampa tutti i giorni, anche i weekend. Ho avuto il privilegio rarissimo — e foriero di conseguenze — di ricevere nella mia cassetta della posta tutte le novità.

La mia reazione, di fronte ad un’abbondanza che è platealmente troppa, è immagino quella di molti che lavorano nel mondo culturale ed editoriale: ad un certo punto ci dai a mucchio.

La vita dell’editore non è la vita del lettore: i libri si ammucchiano sul comodino in maniera non organica, ma cadenzata dalle settimane e dai lanci editoriali, con un passo di marcia e non un respiro naturale, proprio, scelto.
Una situazione per certi versi invidiabile, per altri no.
Uno dei motivi della felicità assoluta di leggere è la meravigliosa libertà di essere un colibrì, andare a piluccare da fiori diversi, come e quando gli pare. Come ogni libertà ha il suo prezzo, certamente, ma quando manca si sente.
Questo discorso ha particolarmente senso con Adelphi dato — diciamo così — il peso specifico medio, la densità dei suoi libri.
Amo molto il concetto di bibliodiversità, ma personalmente lo declino in maniera ancora più radicale: ogni lettore è diverso da sè stesso in mesi diversi, stagioni diverse, ma anche in diversi giorni o addirittura in diverse ore dello stesso giorno. Il lettore universitario legge la mattina libri diversi che all’una di notte. Si leggono libri diversi per motivi diversi. Si leggono libri di “densità” diversa: come se gli occhi fossero un filtro e il liquido dei libri dovesse essere versato dentro. In base alla viscosità questo processo può essere più o meno faticoso. Come anche il premio che se ne ricava. A volte è importante leggere libri leggeri, veloci. A volte è importante soffermarsi su qualcosa di più difficile. Non voglio parlare di serie A e serie B, ma neanche affermare che ogni lettura è equivalente a quell’altra. Altrimenti ci accontenteremmo di leggere le etichette del bagnoschiuma quando siamo sul cesso.

Ancora. Provo con una metafora un po’ sciocca: è come se, per tutta la vita, io avessi sviluppato un amore per una città. Una città a me molto vicina, dove posso andare quando voglio, che posso visitare e di cui conosco i parchi, i negozi, i locali, le vie che mi piacciono. Ho sempre fatto così, ho sempre frequentato le stesse parti della città, esplorando solo quando avevo voglia. Nel tempo, ho scoperto moltissimo, ma soltanto al mio passo, seguendo il mio gusto.

Da un certo momento, mi hanno chiesto di diventare una guida turistica della città. Per certi versi, un lavoro per cui mi ero preparato da tutta la vita. Per altri, mi sono reso conto di quanto l’immagine della città che mi ero fatto negli anni fosse comunque limitata e parziale. “Costretto” a guardala in maniera più professionale e sistematica, ho capito quando fosse davvero così più grande. Non sempre soggettivamente più bella, perché il mio gusto diventa quasi limitante. Ma oggettivamente più ampia e coerente e diversa. Di questa nuova visione sono molto grato.

Il lato negativo, è che spesso mi sono bloccato: troppi libri, troppa certezza che moltissimi fossero davvero belli e importanti, troppa pressione nel dover lavorare piuttosto che fermarsi lì a leggerli.

Li ho tutti aperti, ma letti davvero in pochi casi. Non ci sto dietro, e mi sono portato questa sindrome di Stendhal fino ad oggi. Mi rendo conto che sembro il figlio di un miliardario che si lamenta che la villa dove vive è troppo grande, che ha troppi videogiochi, troppe cose da fare. Eppure così è stato. Ho letto molti libri belli con una certa fretta, e un po’ mi dispiace.

Il lato positivo, come dicevo, è aver conosciuto molto meglio il catalogo. Seguire tutte le novità è stato estremamente formativo: mi sono reso conto che io conoscevo solo una parte del catalogo, quella che mi interessava. O meglio, quella che credevo mi interessasse.

La vera scoperta non è stato scoprire cose che non sapevo: ma scoprire che credevo di sapere cose e invece non le sapevo. Per pregiudizio — quasi per definizione inconscio — avevo derubricato alcuni libri e alcuni autori. O avevo semplicemente pensato “questo lo leggerò poi”, e procrastinato per anni. Due nomi su tutti: Fleur Jaeggy e Anna Maria Ortese. Se per la seconda avevo comunque pensato che sarebbe giunto il momento, la prima l’avevo in un certo senso snobbata. Ma I beati anni del castigo — di cui avevo ben due copie a casa, e che ancora non avevo letto — è uno dei libri che più mi ha colpito quest’anno, con una scrittura che davvero non ha eguali, non ha paragoni.

Essendo eterodiretto nella mie letture, ho letto più autrici donne del mio solito (Cagnati, Jaeggy, Ortese, Mitford, Aleksievič, Pugno, Bouthol, Reza, O’Brien, Lispector), cosa che conferma la mia convinzione che gli “algoritmi” che ci autocostruiamo sono spesso il nostro limite più grande.

Non ho ancora sistematizzato tutti questi pensieri, ma gira tutto attorno alle immortali parole di Donald Rumsfield (si, quello della guerra in Iraq):

“There are known knowns. There are things we know that we know. There are known unknowns. That is to say, there are things that we now know we don’t know. But there are also unknown unknowns. There are things we do not know we don’t know.”

Gli unknown unknowns sono genericamente interessanti: le classiche zone cieche di quello che non sappiamo e non sappiamo di sapere. Ma, ecco, c’è, in questa categorizzazione, una cosa che Rumsfield non cita ma è forse ancora più importante: anche gli unknown knowns, le cose che crediamo di sapere e che invece non sappiamo. Se solitamente ci si concentra sui primi, i secondi sono stati il mio avversario più temibile quest’anno: leggere “per commissione” è una strana forma di serendipity, di avvertire i limiti di quello che chiamiamo “gusto”. Di allargare le zone di quello che chiamiamo comfort, gusto. Non so, ci devo ancora pensare. Ma è un’esperienza — straniante — che consiglio. Per un po’.

I libri del 2022

Adelphi, 2022.

Manganelli è stato, borgesianamente, un grande lettore prima di essere un grande scrittore: in più, cosa che non guasta mai, Manganelli è stato un ossesso: uno che letteralmente ruminava continuamente libri e parole. Cosa chiedere di meglio di un libro di “recensioni” — in mancanza di un termine migliore? Non guasta che i libri e gli autori scelti in questo libro fossero qusi tutti adelphiani, il che lo ha reso un giochino ancora più divertente. Un grande momento di felicità letteraria.

Adelphi, 2022.

Sentire e conoscere di Antonio Damasio

Primo libro di Damasio che davvero leggo, forse è preferibile come ultimo: nel senso che è un’ottima e concisa sintesi del suo pensiero, che potrebbe essere riassunto con: la ghiandola pineale esiste ed è tutto il corpo (l’idea è di Annalisa Ambrosio). Cioé: non si dà intelligenza e coscienza se non incarnata in un corpo. Mi pare una piccola rivoluzione copernicana, soprattutto quando gli sforzi là in California sono tutti su un’AGI smaterializzata.

Adelphi, 2022.

Génie la matta è stato un ripescaggio Adelphi. Autrice figlia di immigrati italiani nella Francia rurale degli anni ’30, ha scritto con Génie una favola nerissima, tanto dolce quanto triste, tanto bella quanto lacerante. A tratti una litania, una lallazione, con frasi e scene che si ripetono, scandendo il tempo come il pendolo di un orologio; a tratti poesia pura, squarci lirici; a tratti, pochi ma implacabili, momenti di violenza che ancora mi lasciano i brividi. Io vi avverto.

Adelphi, 2021.

Operatori e Cose di Barbara O’Brien

Operatori e Cose è un memoir lucidissimo che ripercorre un attacco schizofrenico, una possessione durata sei mesi. Una giorno una giovane donna si alza e vede alcune persone davanti al suo letto. Le diranno di scappare da casa sua, lasciare tutto, e lei lo farà.

Uno di quei libri incredibili, che sarebbe ritenuto troppo assurdo e bizzarro se fosse stato un “semplice” romanzo. Nonostante sia un resoconto preciso e pacato, ha incubi allucinanti degni del miglior Kafka (L’Operatore dell’Uncino ancora mi perseguita), e non sfigura affatto di fianco all’immortale “Memorie di un malato di nervi”, pietra miliare del catalogo Adelphi. Un piccolo errore forse inserirlo in questa collana, perché era una perfetta Collana dei Casi. È passato un po’ sotto silenzio ed è un peccato, perché libri come questi sono — in maniera letterale — unici.

L’ho letto vicino a Génie: entrambi sono libri scritti da donne, e scritti cinquant’anni fa: entrambi, in maniera diversissima, a loro modo, sono una fotografia perturbante della condizione femminile. Due pugni nello stomaco. Li consiglio soprattutto ai maschietti.

Adelphi, 2022.

L’assistente di Robert Walser

Non sono un fanatico walseriano, ho solo letto in passato Jacob Von Gunten e La passeggiata, accanto anche a Passeggiate con Walser di Seelig. Posso però capirne il fascino: forse è il fatto che sono un lettore più maturo — o semplicemente più vecchio — questo è il suo libro che mi è piaciuto di più. Walser sembra scrivere da un altro mondo, simile al nostro ma con una alterità evidente: un po’, appunto, come Kafka (a proposito: la splendida copertina — forse la più bella copertina adelphiana dell’anno per me, assieme a quella di Sebald — è proprio un disegno di Kafka).

Questo libro ha un respiro più ampio della Passeggiata, e decisamente più luce di Jacob Von Gunten: non si può che provare simpatia per l’assistente protagonista, per i suoi entusiasmi, per la sua ingenuità. Ha quasi i tratti felici dell’idiota dostoevskijano. Ho già usato quest’espressione per Manganelli, ma non posso che ripertermi: non saprei mai argomentarlo, a causa di un inscalfibile mistero, ma se esiste qualcosa come la felicità di scrittura, è quella di Robert Walser, e quella di questo libro.

Adelphi, 2022.

Rincorrendo l’amore di Nancy Mitford

Libro che non avrei neanche preso in mano se non mi fosse arrivato, e a mio detrimento. Non è stata certo la migliore lettura dell’anno, ma allo stesso tempo me lo sono goduto molto, e mi è rimasta voglia di leggere altri romanzi della Mitford: leggero, divertente, elegante. Una piccola scoperta per me.

Adelphi, 2022.

Memorie di un baro di Sacha Guitry

Unico “romanzo” di uno sceneggiatore e attore estremamente prolifico, un dandy alla Oscar Wilde leggendario in Francia e poco conosciuto da noi. Sempre sulla scia dei divertissement, anche se qui si nota una vita vissuta dietro le parole che lo rende un libro piuttosto speciale. Breve, si beve facile in un paio di giorni, con la freschezza dei primi spritz di maggio al sole.

Adelphi, 2022.

Libro che non ho finito, ma di cui ho letto centinaia di pagine, per cui ha senso parlarne. Mi sono bloccato per motivi miei: ci vuole una certa attenzione, con libri del genere, nel seguire tutti i personaggi e tutte le vicende, nonostante Sam Kean riesca a raccontare una storia gigantesca e ramificata in maniera veloce, ritmata, cercando di fare brevi capitoli chiari ed efficaci. È una storia enorme, ovviamente, quella della bomba atomica. Bizzarro che sia anche una sottotrama di Tasmania di Giordano (sotto) e dell’Oppenheimeir di Nolan quest’anno. Mi dispiace non avergli concesso la giusta attenzione, è un libro che se lo merita.

Adelphi, 2022.

Il conte Luna di Alexander Lernet-Holenia

Non l’ho finito, ma forse perché era estate e avevo voglia di altro. Continuo a pensare di riprenderlo in mano ma mi faccio intimidire maggiormente dai suoi compagni sul comodino. Ha uno stile misteriosamente intrigante.

Adelphi, 2022.

Masen’ka di Vladimir Nabokov

Primo romanzo di Nabokov, autore che colpevolmente procrastino sempre di leggere (ma di cui possiedo praticamente l’opera completa, accumulata negli anni e mai davvero affrontata). Siamo ancora lontani dalla lingua sublime di Lolita, o dall’estro cerebrale di altre sue opere, eppure… I russi sono sempre casa.

Tony & Susan di Austin Wright

Libro iniziato per caso e che mi ha agganciato come niente quest’anno. Letto in pochi giorni, come un noir di quelli belli. Parte un po’ postmoderno (c’è un libro dentro a un libro) ma in realtà non si sente: per nulla artefatto, solidissimo, le storie si tengono perfettamente. Mi ha lasciato vari interrogativi, ancora ci penso. È il libro da cui è stato tratto Animali notturni di Tom Ford.

Einaudi, 2022.

Tasmania di Paolo Giordano

Romanzo che naviga con sicurezza sul filo dei confini di fiction, nonfiction, autofiction, che parla di presente e di futuro. Ne avete sicuramente bene in giro e si merita gli elogi. La mia personalissima idiosincrasia è che io e Giordano siamo ana/demo/bio/-graficamente abbastanza simili, e continuo a chiedermi come si faccia a eliminare dal romanzo contemporaneo la voce narrante maschia e pensosa e malinconica che tutto osserva e poco agisca. In un certo senso, toglie un po’ potenza ai temi trattati, che sono tanti e importanti. Mi tengo il dubbio, ma sicuramente leggetelo.

Adelphi 1993 e 2015, Sellerio 2022.

La variante di Lüneburg e Teoria delle ombre di Paolo Maurensig

Il Mago di Riga di Giorgio Fontana

Quest’anno ho imparato a giocare a scacchi. Cioè, sapevo giocare anche prima, ma lo vivevo malissimo: avendo studiato matematica tutti assumevano che io fossi automaticamente bravo, e invece. Dopo non aver fatto una partita per più di dieci anni, non ricordo bene neanche come, ho iniziato e non ho più smesso. Sono ancora una schiappa, ma almeno mi diverto e imparo.

La variante di Lüneburg è certamente il più famoso romanzo italiano a tema scacchistico. E giustamente: è un racconto solidissimo, quasi perfetto, con immagini geniali (la scacchiera d’acciaio!), colpi di scena, tutto. Mi ha ricordato Uno studio in rosso di Conan Doyle, e lo dico ovviamente come complimento. Non è un caso che da trent’anni sia un piccolo culto.

Teoria delle ombre è invece una biografia romanzata degli ultimi giorni di Alekhine, leggendario campione del mondo russo. Mi è piaciuto, e anche molto, ma mentre sono certo che La variante possa piacere anche a chi a malapena sappia come si muove un cavallo, questo rimane per appassionati.

Il Mago di Riga di Fontana è invece uscito quest’anno, e me lo sono davvero goduto moltissimo. Sempre biografia romanzata, questa volta di Michail Tal, campione lituano. È scritto davvero molto bene — rimane un libro letterario —e ha il terribile difetto di essere durato troppo poco. Mi ci rivedo a leggerlo fra qualche anno solo per il piacere di farlo.

Adelphi, 1996.

Libretto che avevo in giro da molto tempo, non so perché ho deciso di tirarlo fuori: ho ovviamente fatto benissimo. In quelle valli svizzere che più avanti sarebbero state maledette anche da Bernhard (penso a Perturbamento) un racconto del terrore scritto a inizio ‘800 che riuscirà senza problemi a perseguitarvi per un bel po’.

Adelphi, 2022.

Le sorelle Lacroix di Georges Simenon

Credo che questo sia il primo romanzo di Simenon che abbia mai letto, al netto di qualche racconto di Maigret tanti anni fa. È una storia molto nera e triste, con un’atmosfera unica. Che lui riuscisse a tirare fuori un romanzo così al mese ha del sovrannaturale: per il mio gusto, avesse lavorato sulla lingua e lo stile un altro mese, sarebbe stato un capolavoro vero. Mi è sempre rimasta questa sensazione durante la lettura.

Adelphi, 2022, 2022, 2021.

Tre Microgrammi, collana definita soltanto dal piccolissimo formato e dalle poche pagine. In sè, tre libri diversissimi.

Bennett inanella due monologhi teatrali su due donne (ma uno è, a suo modo, spaventoso e terribile), Aleksievič scrive invece il suo discorso per il Nobel per la letteratura del 2015. È un testo tanto breve quanto denso, di cui mi sono trovato a segnare citazioni ogni due paragrafi. Un testo sulla guerra e sugli uomini e le donne. Forse uno dei testi sulla guerra più chiari e onesti che abbia mai letto. Bellissimo. Da far leggere nelle scuole.

L’Uomo Elefante, infine, è la testimonianza di Frederick Treves, il medico dell’uomo Elefante reso celebre da David Lynch. Non so se tutti sanno che la storia è vera. Ed è una storia ovviamente straziante, ma con quello che potremmo quasi definire un lieto fine. Poche pagine che dicono sull’umanità più di migliaia di altre.

Adelphi, 2022.

Viaggio in Sicilia di Ibn Jubayr

Libretto che non avrei mai preso in mano in altre circostanze: il resoconto di viaggio di un pellegrino mussulmano di ritorno da La Mecca, poco dopo l’anno Mille. Una piccola macchina del tempo fatta libro.

Marsilio, 2022.

Storia confidenziale dell’editoria italiana di Gian Arturo Ferrari

Libro scorrevole e divertente, ma ovviamente deve interessare l’argomento (con me è gol a porta vuota). Ferrari non è proprio simpatico, ma il libro si legge volentieri nonostante la mole, e si imparano un sacco di cose, alcune ufficiali e altre ufficiose. Il tono scanzonato e per certi versi cinico (d’altronde, Ferrari non può che cercare di giustificare le proprie malefatte letterarie ed editoriali dopo essere stato capo di Mondadori per tanti anni) lo rende un libro molto diverso dai soliti saggi sull’editoria, dai famosi epistolari einaudiani alle storie dell’altro Gian quasi omonimo (Carlo Ferretti, appena scomparso). Non per forza migliore, ma decisamente più leggibile.

La nave di Teseo, 2022.

Il Giardino degli Aranci di Dario Voltolini

Grande scoperta di quest’anno. Ho conosciuto Dario di persona — abbiamo insegnato insieme alla Holden a marzo — ed è una persona splendida, gioviale, divertente. Abbiamo riso moltissimo ed è stato certamente uno degli incontri più belli del 2022.

Solo mesi dopo l’ho letto: un libro delizioso, lui e il suo protagonista Nino Nino, prima bambino e poi ragazzo che scopre l’universo femmina. Quasi niente sesso, moltissimo romanticume e imbarazzo e agognamento stilnoviano per certi incavi di ginocchia e curve di schiene e colli e seni. In questo senso, è un breve romanzo che celebra quel momento — innocente e irripetibile — in cui un maschietto scopre il proprio desiderio, ma qui il desiderio rimane tutto maschile: posso intuire che alcune lettrici non lo ameranno. Io l’ho trovato molto dolce, e Voltolini ha una sensibilità davvero incredibile per le distanze, per le intercapedini, per gli interstizi. Un poeta dei piccoli spazi che separano le cose, i corpi. Me l’ha fatto notare Michele Orti Manara e non posso più non vederlo. Adorabile.

Il Saggiatore, 2021.

Mappa immaginaria della poesia italiana contemporanea di Laura Pugno

Se di narrativa contemporanea so poco, di poesia contemporanea ancora meno. (ho un personalissimo problema cognitivo con la poesia, non la capisco, non è lei, sono io). Un progetto come si trova a metà esatta — una condizione bizzarra — fra i miei interessi. È un drittone statistico/analitico di quelli che piace a me, in un ambito di cui non so quasi nulla. Allo stesso tempo, quello di Pugno e soci/e è un bellissimo progetto, fatto con testa e cuore, e questo si sente proprio. Letto in un momento in cui lo stesso Franco Moretti — padre putativo delle digital humanities, del distant reading, di un certo tipo di lettura quantitativa — disconosce parzialmente i suoi trent’anni di carriera, un libro del genere, con una certà onestà e trasparenza, manifesta tranquillamente la propria “futilità”, consapevole che è un discorso di ricerca, un tentativo di disegnare delle mappe in un terreno per sua natura instabilissimo. Siamo ancora poco abituati a queste letture, e un oggetto del genere è quindi insieme bello, futile, effimero, avanguardia, critica letteraria, tentativo di fare qualcosa di diverso in un ambito dal quale all’apparenza è distantissimo.

L’introduzione di Laura è molto bella, come lo sono alcuni dei saggi (molto chiaro quello della triade Verna, Faggiolani, Vivarelli, con i quali ci ritroviamo sempre a pensare cose simili (ho delle slides del mio corso alla Holden che fanno riferimento agli stessi concetti, libri, argomenti)). Se il libro non arriva esattamente dove deve arrivare è quindi più responsabilità mia, magari devo leggere più poesia. Magari però il prossimo lo fanno sugli scrittori del Novecento, sarebbe un progetto meraviglioso.

C’è anche il sito, fatto molto bene.

Nottetempo, 2022.

Falso movimento di Franco Moretti

Tutto avrei pensato quest’anno che leggere un libro come questo. Franco Moretti se ne esce inaspettatamente dalla pensione con un testamento che, più o meno, rinnega i suoi trent’anni di lavoro precendenti. Non solo il fondatore del distant reading, dunque: anche quello che lo vuole distruggere. A me è sembrato un’opera molto onesta, con il pregio clarissimo di essere scritto divinamente, con un nitore raro e idee profonde: fra tutte l’idea abissale di trovare “una teoria darwiniana della letteratura”. Guardare alla letteratura come la straordinaria e meravigliosa diversità del vivente, e trovarne un modello “operativo” sottostante, una ragione, un logo. Tentativo fallito, per ora.

Adelphi, 2022.

Reza è bravissima: non so quanti autori contemporanei potrebbero anche solo immaginarsi una scena come quella della gita ad Auschwitz, il gioco funambolico è impressionante proprio per l’apparente assenza di difficoltà, o meglio: assenza di un evidente sforzo. Come una ginnasta. Sono curioso di leggere gli altri.

Adelphi, 2010

Mistero doloroso di Anna Maria Ortese

Confesso con vergogna che, benché io abbia diversi suoi libri, Ortese è una di quegli autori che sai ti piaceranno, per cui procrastini ad libitum: insomma, non l’avevo mai letta. Verrebbe da parafrasare Clarke: my god, it’s full of stars. Mai vista tanta luce in un libro così piccolo.

Adelphi, 2022.

Il sospetto di Friedrich Dürrenmatt

Colpevolmente, non avevo mai letto Dürrenmatt, ma dovrò iniziare. Racconto che ti prende per la gola nelle prime pagine e che non la lascia più fino alla fine. E uno dei personaggi più belli che abbia mai letto in questi ultimi dieci anni. Con questo libro mi sono reso conto a inizio anno che in questi anni avevo stupidamente ignorato la collana Fabula, tutto a mio detrimento. Ne ho letti vari quest’anno, ma voglio continuare.

Adelphi, 2022.

Il dubbio di Seichō Matsumoto

Primo libro di Matsumoto, ma mi sembra di intuire che è uno che conosce bene il mestiere. Un breve racconto a suo modo perfetto per ambientazione e intreccio, non particolarmente intricato eppure efficace. Mi è rimasta la voglia di leggere gli altri.

Adelphi, 2022

Il tempo sacro delle caverne di Gwenn Rigal

Grande saggio adelphiano dell’anno, se così si può dire. Una dottissima — ma per gran parte scorrevole — disamina di tutte le teorie riguardanti le antiche pitture rupestri. Un viaggio incredibile, per certi aspetti, in quello che non potrà che rimanere un mistero, un “luogo mentale” che rimarrà inconoscibile, in cui non ha quasi senso parlare di arte, magia, cultura. Letto con lo spirito giusto — che io, per vari motivi non dipendenti dal libro, non ho avuto — è un libro che sonda il mistero di cosa voglia dire essere umani.

Bompiani, 2022.

Le perfezioni di Vincenzo Latronico

Mi ha fatto uno strano effetto, come di specchio deflagrato: in maniera necessariamente diversa, necessariamente incompleta, necessariamente parziale, parla di me e mille persone che conosco. Quasi una generazione intera, o giù di lì. Una fotografia che, se non mi sbaglio, riconosceremo come precisa e giusta anche fra alcuni anni.

Raffaello Cortina, 2021.

Serendipità di Telmo Pievani

Bel saggio di Pievani su un concetto che mi sta molto a cuore, e che è profondamente legato alla scienza, che è poi un particolare modo di conoscere il mondo. Il libro ha il pregio di essere chiaro e non troppo lungo (come invece il leggendario mattone di Merton), e di spiegare chiaramente la genesi bizzarra del termine, e come e quanto ha cambiato significato negli anni. Devo a questo libro la scoperta serendipitosa dell’exaptation, splendido concetto della biologia evoluzionistica, per cui gli vorrò sempre bene.

Adelphi, 1989.

I beati anni del castigo di Fleur Jaeggy

Nel podio delle letture dell’anno. Cosa dire di un libro del genere? La capacità di Jaeggy di creare un’atmosfera unica con un paio di frasi è quasi sovrannaturale. Tutto in questo libro è sovrannaturale. Tutto è normale, tutto è uncanny. Un libro scritto di nebbia, di silenzio, di assenza, di niente. Non vedo l’ora di rileggerlo.

Il richiamo del corno di Sarban

Libro che volevo leggere da molto tempo — la copertina della prima edizione in Fabula è incredibile — , è un racconto d’altri tempi, fra i primissimi a disegnare un futuro distopico: il Terzo Reich ha vinto, c’è una strana caccia nel castello. C’è un che di Wells in tutto questo, e anche qualche traccia nascosta — mai esplicitata — di feticismo. Si legge in fretta, consiglio.

Adelphi, 2022.

Che storia. Ondeggia fra il profilo storico e il thriller teologico-metafisico, ambientato fra la Siria e la Persia dell’anno Mille. Un libro che all’epoca ossessionò Burroughs, su un personaggio leggendario che ossessionò Nietzsche. Nulla è vero, tutto è permesso. Bellissimo.

Altri libri di cui non ho da dire nulla di intelligente

  • Alan Bennett, Una donna qualunque
  • Giovanni Lindo Ferretti, Òra
  • Milan Kundera, Un Occidente prigioniero
  • Lawrence Osborne, Il regno di vetro
  • Sir Gawain e il cavaliere verde
  • Evelyn Waugh, I luoghi Santi
  • Fedor Dostoevskij, Il coccodrillo
  • Roberto Calasso, Sotto gli occhi dell’Agnello
  • Jorge Luis Borges, Storia della Notte
  • C.S. Lewis, Diario di un dolore

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Andrea Zanni

Digital librarian, former president of Wikimedia Italia. I work with books and metadata.