Il declino della violenza

Moralità e tabù

Andrea Zanni
30 min readMay 17, 2019

Le radicali differenze fra una cultura e l’altra nella moralizzazione dei comportamenti, unite allo sconcerto morale nella nostra cultura, possono creare l’impressione che norme e tabù siano arbitrari: che possa esistere da qualche parte una cultura in cui è immorale pronunciare una frase che abbia un numero dispari di parole o negare che l’oceano è bollente. Ma l’antropologo Richard Shweder e diversi suoi allievi e collaboratori hanno scoperto che, da un capo all’altro del mondo, le norme morali si raggruppano attorno a un piccolo numero di temi. I concetti intuitivi in cui noi nell’Occidente moderno tendiamo a vedere il cuore della moralità — correttezza, giustizia, tutela degli individui e prevenzione del male — sono soltanto una di più sfere di interesse che possono associarsi all’armamentario cognitivo ed emozionale della moralizzazione. È sufficiente uno sguardo ad antiche religioni quali l’ebraismo, l’islam e l’induismo per constatare che esse moralizzano un gran numero di altri interessi, come la lealtà, il rispetto, l’obbedienza, l’ascetismo e la regolazione di funzioni corporee quali l’alimentazione, la sessualità e le mestruazioni.

Shweder ha dato un ordine agli interessi morali del mondo, catalogandoli sotto tre voci. L’Autonomia, l’etica accettata nel moderno Occidente, parte dal presupposto che il mondo sociale è composto da individui e che scopo della moralità è permettere loro di esercitare le proprie scelte e proteggerli dal male. L’etica della Comunità, invece, vede nel mondo un insieme di tribù, clan, famiglie, istituzioni, corporazioni e altre coalizioni, ed equipara la moralità al dovere, al rispetto, alla lealtà e all’interdipendenza. L’etica della Divinità postula che il mondo è composto da un’essenza divina, parti della quale sono ospitate in corpi, e che scopo della morale è proteggere questo spirito dalla degradazione e dalla contaminazione. Se un corpo è un mero contenitore dell’anima, che in ultima istanza appartiene a un dio o è parte di lui, non si ha il diritto di fare del proprio corpo ciò che si vuole. Si ha l’obbligo di non inquinarlo, astenendosi da forme impure di sessualità, alimentazione e altri piaceri fisici. L’etica della Divinità è sottesa alla moralizzazione del disgusto e alla valorizzazione di purezza e ascetismo.

Haidt ha preso la tricotomia di Shweder e ha diviso due etiche in due, portando il totale degli interessi, che ha chiamato «fondamenti morali», a cinque. L’etica della Comunità è stata biforcata in Appartenenza al gruppo / Lealtà e Autorità / Rispetto, e quella dell’Autonomia è stata scissa in Giustizia / Reciprocità (la moralità sottesa all’altruismo reciproco) e Fare del male / Prendersi cura (il coltivare gentilezza e compassione, e l’inibizione di crudeltà e aggressività). Inoltre, Haidt ha dato all’etica della Divinità il nome più laico di Purezza / Santità. Oltre a introdurre queste modifiche, egli ha corroborato la tesi secondo cui i fondamenti morali sono universali, mostrando che tutte e cinque le sfere si ritrovano nelle concezioni morali intuitive degli occidentali laici. Nei suoi esperimenti sullo sconcerto morale, per esempio, alla base della repulsione dei soggetti per incesto, zoorastia e il mangiare un animale domestico è risultata l’etica della Purezza / Santità, alla base dell’obbligo di visitare la tomba della madre l’etica dell’Autorità / Rispetto, e la proibizione di dissacrare una bandiera americana era dettata dall’etica dell’Appartenenza al gruppo / Lealtà.

A mio parere, il sistema più utile è stato sviluppato dall’antropologo Alan Fiske. Esso avanza l’ipotesi che la moralizzazione sia frutto di quattro modelli relazionali, ognuno dei quali rappresenta un modo diverso di concepire i rapporti con gli altri. La teoria si propone di spiegare come le persone, in una data società, ripartiscano le risorse; da dove provengano, nella storia evoluzionistica, le loro ossessioni morali; come la moralità vari da una società all’altra; e come si possa vivere la propria moralità a compartimenti stagni e proteggerla con tabù. I modelli relazionali corrispondono alle classificazioni di Shweder e Haidt più o meno lungo le linee indicate in questa tabella:

Il primo modello, Condivisione di beni comuni (per brevità, Comunanza), fonde Appartenenza al gruppo / Lealtà e Purezza / Santità. Quando si assume la forma mentis della Comunanza si condividono liberalmente le risorse all’interno del gruppo, senza tenere conto di chi dà o riceve e quanto. Si concettualizza il gruppo come «una sola carne», unificata da un’essenza comune, che va salvaguardata contro la contaminazione. Si rafforza l’idea di unità con rituali di unione e fusione quali contatto corporeo, pasti in regime di commensalismo, movimenti sincronizzati, canti o preghiere all’unisono, esperienze emotive condivise, ornamenti o mutilazioni corporee comuni, e la mescolanza di fluidi corporei nell’allattamento, nei rapporti sessuali e nei rituali di sangue. Inoltre la si razionalizza con miti di antenati comuni, discendenza da un patriarca, radicamento in un territorio o parentela con un animale totemico. La Comunanza è evoluta dall’accudimento materno, dalla selezione di parentela e dal mutualismo, e può essere implementata nel cervello, almeno in parte, dal sistema ossitocinico.

Il secondo modello relazionale di Fiske, la Gerarchia secondo autorità, è una gerarchia lineare definita da dominanza, status, età, genere, dimensioni, forza, ricchezza o precedenza. Essa legittima i superiori a prendere ciò che vogliono e a ricevere un tributo dagli inferiori, oltre che a imporre loro obbedienza e lealtà. E li obbliga, inoltre, ad assumersi la responsabilità paternalistica, pastorale o da noblesse oblige di proteggere chi è sotto di loro. La Gerarchia secondo autorità è presumibilmente evoluta dalle gerarchie di dominanza fra i primati, e può essere in parte implementata dai circuiti cerebrali testosterone-sensibili.

La Comparazione secondo uguaglianza abbraccia la reciprocità dare-avere e altri regimi di equa divisione delle risorse, come fare a turno, tirare una moneta, contributi equivalenti, divisioni in parti uguali, e formule verbali quali «ambarabà ciccì coccò». Pochi animali hanno rapporti di chiara reciprocità, anche se agli scimpanzé non manca un rudimentale senso di giustizia, almeno quando si tratta di non essere imbrogliati. Le basi neurali della Comparazione secondo uguaglianza abbracciano le parti del cervello che registrano intenzioni, truffa, conflitto, assunzione di prospettiva e calcolo, fra cui l’insula, la corteccia orbitale, la corteccia cingolata, la corteccia prefrontale dorsolaterale, la corteccia parietale e la giunzione temporoparietale. La Comparazione secondo uguaglianza è alla base del nostro senso di giustizia e della nostra economia intuitiva, e ci lega come vicini di casa, colleghi, conoscenti e partner commerciali, piuttosto che come amici del cuore o compagni d’arme. Molte tribù tradizionali praticano lo scambio rituale di doni inutili, un po’ come i nostri fruitcake a Natale, esclusivamente per cementare rapporti di Comparazione secondo uguaglianza. (I lettori che stanno comparando e contrapponendo le tassonomie si domanderanno forse perché la categoria di Haidt Fare del male / Prendersi cura, anziché essere abbinata con modelli relazionali più calorosi come quelli di Comunità e Santità, sia adiacente a Giustizia e sulla stessa colonna di Comparazione secondo uguaglianza di Fiske. La ragione è che Haidt misura il Fare del male / Prendersi cura chiedendo ai soggetti come trattano un generico «qualcuno» anziché amici e parenti, che sono i beneficiari standard della cura. Le risposte a tali domande sono in corrispondenza perfetta con quelle sulla Giustizia, e non si tratta di una coincidenza. Ricordiamo che la logica dell’altruismo reciproco, che implementa il nostro senso della giustizia, prevede di essere «buoni» cooperando alla prima mossa, non defezionando a meno di non subire una defezione, e accordando un grande beneficio a uno sconosciuto nel bisogno, quando si può farlo a un costo relativamente basso per se stessi. Quando cura e male sono estesi al di fuori di cerchie intime, rientrano semplicemente nella logica della giustizia.)

L’ultimo modello relazionale di Fiske è quello della Valutazione secondo il mercato: il sistema di valute, prezzi, affitti, stipendi, indennità, interessi, crediti e derivati senza cui l’economia moderna non esisterebbe. La Valutazione secondo il mercato dipende da numeri, formule matematiche, contabilità, trasferimenti digitali, e dal linguaggio dei contratti formali. A differenza degli altri tre modelli relazionali, non è affatto universale, in quanto richiede alfabetizzazione, aritmetica, e altre tecnologie dell’informazione d’invenzione recente. Anche la logica della Valutazione secondo il mercato rimane cognitivamente innaturale, come abbiamo visto nella diffusa resistenza agli interessi e ai profitti fino all’epoca moderna. I modelli, osserva Fiske, possono essere distribuiti lungo una scala che riflette più o meno l’ordine della loro comparsa nell’evoluzione, nello sviluppo del bambino e nella storia: Condivisione di beni comuni > Gerarchia secondo autorità > Comparazione secondo uguaglianza > Valutazione secondo il mercato.

La Valutazione secondo il mercato, mi sembra, non è un’esclusiva né dei mercati né delle valutazioni economiche. In realtà si dovrebbe accomunarla ad altri esempi di organizzazione sociale formale che, nel corso dei secoli, si sono affinati come buoni modi per milioni di persone di gestire i loro affari in una società tecnologicamente avanzata, ma che possono non venire spontaneamente in mente a gente non istruita. Una di queste istituzioni è l’apparato politico della democrazia, in cui il potere non è assegnato a un «uomo forte» (Autorità), ma a rappresentanti scelti attraverso una formale procedura elettorale e le cui prerogative sono stabilite da un sistema di leggi. Un’altra è un’azienda, un’università o un’organizzazione no-profit. Chi vi lavora non è libero di assumere amici e parenti (Comunanza) o distribuire benefici come favori (Comparazione secondo uguaglianza): è vincolato da doveri fiduciari e regolamenti. La mia revisione della teoria di Fiske non viene dal nulla. Fiske nota che una delle sue ispirazioni intellettuali per la categoria Valutazione secondo il mercato fu il concetto del sociologo Max Weber di modalità di legittimazione sociale «razionale-legale» (contrapposta a quella tradizionale e carismatica): un sistema di norme elaborato dalla ragione e messo in atto tramite regole formali. Di conseguenza, farò a volte riferimento a questo modello relazionale usando il termine più generale di Razionale-legale.

Nonostante tutte le differenze in ciò che raggruppano e in ciò che separano, le teorie di Shweder, Haidt e Fiske concordano sul modo di operare del senso morale. Nessuna società definisce ogni giorno virtù e malefatte in base alla regola d’oro o all’imperativo categorico. La moralità consiste nel rispettare o violare uno dei modelli relazionali (o etiche, o fondamenti): tradire, sfruttare o rovesciare una coalizione; contaminare se stessi o la propria comunità; sfidare o oltraggiare un’autorità legittima; fare del male senza essere stati provocati; ricevere un vantaggio senza pagarne il costo; appropriarsi indebitamente di fondi o abusare delle proprie prerogative.
Il senso di queste tassonomie non sta nell’incasellare intere società, ma nel fornire una grammatica delle norme sociali. Essa dovrebbe rivelare andamenti comuni sotto le differenze di culture e periodi (incluso il calo della violenza), e predire la risposta delle persone a infrazioni alle norme vigenti, fra cui il loro perverso talento per i compartimenti stagni morali.

Alcune norme sociali, come guidare a destra, usare carta moneta e parlare la lingua del posto, non sono che soluzioni a giochi di coordinamento. Ma la maggior parte delle norme ha un contenuto morale. Ogni norma moralizzata è un compartimento che contiene un modello relazionale, uno o più ruoli sociali (genitore, figlio, insegnante, studente, marito, moglie, dirigente, dipendente, cliente, vicino di casa, estraneo), un contesto (casa, strada, scuola, posto di lavoro), e una risorsa (cibo, denaro, terra, abitazione, tempo, consigli, sessualità, lavoro). Per essere membri socialmente competenti di una cultura si deve assimilare una lunga serie di queste norme.

Prendiamo l’amicizia. Le coppie di amici stretti seguono perlopiù il modello della Condivisione di beni comuni. Condividono liberalmente il cibo a una cena e si fanno favori a vicenda senza tenere alcun conto. Ma possono anche riconoscere che circostanze particolari richiedono un qualche altro modello relazionale. Può accadere che lavorino insieme a un compito in cui uno è un esperto e dà ordini all’altro (Gerarchia secondo autorità), che dividano il costo della benzina in un viaggio (Comparazione secondo uguaglianza), o che uno venda all’altro una macchina al suo valore di mercato (Valutazione secondo il mercato).

Le infrazioni a un modello relazionale sono moralizzate senza riserve come sbagliate. Nell’ambito del modello della Condivisione di beni comuni, che regola di solito un rapporto di amicizia, che uno lesini sulla condivisione è sbagliato. Nel caso particolare della Comparazione secondo uguaglianza per pagare la benzina durante un viaggio, un’infrazione consiste nel non versare la propria parte. La Comparazione secondo uguaglianza, presumendo una relazione di reciprocità continuativa, permette una contabilità approssimativa, come nel caso degli allevatori della contea di Shasta, che si risarcivano l’un l’altro per danni subiti con favori più o meno equivalenti, e convenivano, quando un danno di poco conto non veniva compensato, di passarci sopra. La Valutazione secondo il mercato e altri modelli Razionali-legali sono meno indulgenti. Un cliente che esce da un ristorante di lusso senza pagare il conto non può sperare che il proprietario gli permetta di ricompensarlo nel lungo periodo, o che semplicemente ci passi sopra. È più probabile che chiami la polizia.

Quando si violano i termini di un modello relazionale cui si è tacitamente consentito, il trasgressore è visto come un parassita o un imbroglione, e diventa oggetto di ira moralistica. Ma quando si applica un modello relazionale a una risorsa normalmente regolata da un altro modello, entra in gioco una psicologia diversa. La persona non infrange le regole nella misura in cui non le «afferra». La reazione può andare da perplessità, imbarazzo e disagio, allo shock, all’offesa e alla collera. S’immagini, per esempio, un commensale che ringrazi il proprietario del ristorante per la piacevole serata e si offra di invitarlo a cena fuori un giorno o l’altro (trattando un’interazione da Valutazione secondo il mercato come se fosse governata da Condivisione di beni comuni). Inversamente, s’immagini la reazione a una cena fra amici (Condivisione di beni comuni), se un ospite tirasse fuori il portafoglio e si offrisse di pagare il padrone di casa (Valutazione secondo il mercato), o se il padrone di casa chiedesse all’ospite di lavare i piatti mentre lui si rilassa davanti alla televisione (Comparazione secondo uguaglianza). Allo stesso modo, s’immagini che l’ospite si offra di vendere la sua auto al padrone di casa e poi cerchi di strappargli un prezzo esorbitante, o che il padrone di casa suggerisca agli ospiti in coppia, prima di tornare a casa, di scambiarsi i partner per una mezz’ora di sesso.

La reazione emotiva a un abbinamento relazionale sbagliato dipende dal fatto che sia casuale o intenzionale, da quale modello gli viene sostituito, e dalla natura della risorsa. Lo psicologo Philip Tetlock ha avanzato l’ipotesi che la psicologia del tabù, una reazione di indignazione all’espressione di certi pensieri, entri in gioco con risorse considerate «sacre». Un valore sacro è un valore che non può essere barattato con nient’altro. Le risorse sacre sono in genere governate dai modelli primordiali della Comunanza e dell’Autorità, e scatenano la reazione del tabù quando qualcuno le tratta sulla base dei modelli più avanzati della Comparazione secondo uguaglianza o della Valutazione secondo il mercato. Se qualcuno intendesse comprare vostro figlio (mettendo di punto in bianco un rapporto di Condivisione di beni comuni nella prospettiva della Valutazione secondo il mercato), non gli chiedereste quanto offre: la sola idea vi offenderebbe. Lo stesso vale per l’offerta di comprare un dono personale o un cimelio di famiglia, o di venire pagati per tradire un amico, un coniuge o il vostro paese. Tetlock, chiedendo a degli studenti la loro opinione sui pro e i contro di un mercato aperto per risorse sacre come il voto alle elezioni, il servizio militare, la nomina in una giuria, organi corporei o neonati adottabili, ha rilevato che la maggior parte di essi non portava nessun buon argomento contro (per esempio, obiettando che i poveri potrebbero essere indotti a vendere i propri organi per disperazione), ma esprimeva sdegno al solo sentirsi porre domande simili. Le loro tipiche «argomentazioni» erano: «È degradante, disumano, inaccettabile» e «Che razza di persone stiamo diventando?».

La psicologia del tabù non è del tutto irrazionale. Per mantenere rapporti preziosi non è sufficiente dire e fare la cosa giusta. Occorre anche mostrare che il nostro cuore è al posto giusto: che di fronte alla proposta di vendere chi si fida di noi non ci mettiamo a soppesare costi e benefici. Davanti a una proposta indecente, qualunque risposta che non sia un indignato rifiuto tradirebbe la terribile verità che non capiamo che cosa significa veramente essere un genitore, un coniuge o un cittadino. E capirlo significa avere assimilato una norma culturale che attribuisce un valore sacro a un modello relazionale primordiale.

In una vecchia barzelletta un uomo chiede a una donna se andrebbe a letto con lui per 1 milione di dollari, e lei risponde che deve pensarci su. Poi le chiede se lo farebbe per un centinaio di dollari, e la risposta è: «Che tipo di donna pensi che sia?». E lui: «Questo l’abbiamo già stabilito; stiamo solo trattando sul prezzo». Capire la battuta significa capire che i valori più sacri sono in realtà pseudosacri. Si può essere indotti a giungere a compromessi su di essi se il compromesso è velato, manipolato, o cambia la prospettiva da cui lo si guarda. (La barzelletta usa la cifra simbolica «1 milione di dollari» perché essa trasforma la prospettiva da cui si guarda a un mero scambio per denaro in un’opportunità che cambia la vita, che fa diventare milionari.) Quando fu introdotta per la prima volta l’assicurazione sulla vita, la gente era indignata alla sola idea di assegnare un valore in dollari a una vita umana e permettere a una moglie di scommettere sulla morte del proprio marito: dal punto di vista tecnico sono entrambe descrizioni corrette di ciò che fa un’assicurazione sulla vita. Allora il settore assicurativo lanciò campagne pubblicitarie per cambiare la prospettiva in cui veniva visto il prodotto, facendone un atto di responsabilità e coscienza del marito, che, contraendo un’assicurazione sulla vita, non avrebbe fatto altro che adempiere ai propri doveri verso la famiglia nel periodo in cui egli non sarebbe più stato in vita.

Tetlock distingue tre tipi di compromessi. I compromessi di routine sono quelli che si collocano all’interno di un unico modello relazionale, come la scelta di stare con un amico invece che con un altro o di comprare una macchina anziché un’altra. I compromessi tabù contrappongono un valore che in un modello è sacro a un valore che in un altro è secolare, come nel vendere un amico, una persona cara, un organo o se stessi in cambio di qualcos’altro o di denaro. I compromessi tragici contrappongono valore sacro a valore sacro, come nel decidere chi di due pazienti che hanno bisogno di un trapianto debba ricevere l’organo, o nel più tragico dei compromessi: La scelta di Sophie fra la vita dei suoi due figli. L’arte della politica, fa notare Tetlock, consiste in larga misura nella capacità di presentare compromessi tabù in una prospettiva che li renda compromessi tragici (o viceversa, se si è all’opposizione). Un politico che voglia riformare la sicurezza sociale deve cambiare la prospettiva da cui si guarda la sua proposta, facendola passare da «venire meno alla parola data ai cittadini anziani» (definizione del suo avversario) ad «alleviare il fardello che grava sui nostri lavoratori» o «non lesinare più sull’educazione dei nostri figli». Allo stesso modo, mantenere le truppe in Afghanistan non deve significare «mettere in pericolo la vita dei nostri soldati», bensì «garantire l’impegno della nostra nazione per la libertà» o «vincere la guerra al terrore». Come vedremo, quella di cambiare la prospettiva da cui si guarda a valori sacri è probabilmente una tattica sottovalutata nella psicologia dei processi di pace.

Le nuove teorie del senso morale, insomma, hanno contribuito a spiegare le emozioni moralizzate, i compartimenti stagni morali e i tabù. Applichiamole ora alle differenze in materia di moralizzazione fra le culture e, soprattutto, nel corso della storia.

Molte attribuzioni di un modello relazionale a una serie di ruoli sociali appaiono naturali in tutte le società e forse affondano le loro radici nella nostra biologia. Fra di esse vi sono: la Condivisione di beni comuni fra i membri di una famiglia; una Gerarchia secondo autorità all’interno della famiglia, che fa sì che si rispettino i propri anziani; e lo scambio informale di beni e favori di routine in regime di Comparazione secondo uguaglianza. Ma altri tipi di attribuzione di un modello relazionale a una risorsa e una serie di ruoli sociali possono differire radicalmente a seconda dell’epoca e della cultura.

Nel matrimonio occidentale tradizionale, per esempio, il marito aveva Autorità sulla moglie. Il modello fu in larga misura demolito negli anni Settanta, e alcune coppie, sotto l’influenza del femminismo, passarono a un rapporto di Comparazione secondo uguaglianza, dividendo equamente lavori domestici e educazione dei figli e tenendo rigorosamente i conti delle ore che ciascuno vi dedicava. Dal momento che la psicologia da mondo degli affari della Comparazione secondo uguaglianza è in conflitto con il rapporto d’intimità cui aspira la maggior parte delle coppie, nei matrimoni moderni è stata perlopiù preferita la Condivisione di beni comuni, con la conseguenza che molte mogli hanno l’impressione che, a non tenere i conti dei rispettivi contributi ai doveri familiari, finiscono per trovarsi sovraccariche di lavoro e sottovalutate. Accade anche che i coniugi stabiliscano eccezioni Razionali-legali, stipulando per esempio accordi prematrimoniali o stabilendo specifici lasciti testamentari a favore dei figli di matrimoni precedenti.

A definire come le culture differiscano l’una dall’altra sono abbinamenti alternativi di un modello relazionale con una risorsa o una serie di ruoli sociali. Può accadere che i membri di una società ammettano che la terra sia barattata o venduta, e si stupiscano che un’altra società ammetta la stessa cosa per le mogli, o viceversa. In una cultura la sessualità di una donna può ricadere sotto l’Autorità degli uomini della sua famiglia; in un’altra essa è libera di condividerla con l’amato in un rapporto di Comunanza; e in un’altra ancora può scambiarla per un favore equivalente senza essere stigmatizzata: un esempio di Comparazione secondo uguaglianza. In alcune società un omicidio dev’essere vendicato dai parenti della vittima (Comparazione secondo uguaglianza); in altre può essere pagato al prezzo del sangue o guidrigildo (Valutazione secondo il mercato); in altre ancora è punito dallo Stato (Gerarchia secondo autorità).

Riconoscere che una persona appartiene a una cultura diversa può attenuare, in qualche misura, lo sdegno generalmente suscitato dalla violazione di un modello relazionale. Tali violazioni possono persino divenire fonte di umorismo, come in vecchie comiche dove si vedono un povero immigrato o un campagnolo ignorante mercanteggiare sul prezzo di un biglietto del treno, pascolare le pecore in un giardino pubblico o offrirsi di saldare un debito promettendo in matrimonio la figlia. La formula è invertita nel film Borat, in cui il comico Sacha Baron Cohen si fa beffe della disponibilità degli americani culturalmente sensibili a tollerare il comportamento scandaloso di un odioso immigrato. La tolleranza può venire meno, tuttavia, quando una violazione tocca un valore sacro, come nel caso degli immigrati che in paesi occidentali praticano la mutilazione genitale femminile, il delitto d’onore o la vendita di spose minorenni, e in quello degli occidentali che mancano di rispetto al profeta Maometto raffigurandolo in romanzi, facendone oggetto di satira in vignette, o consentendo che gli scolari diano il suo nome a un orsacchiotto.

Differenze nella distribuzione dei modelli relazionali definiscono anche le ideologie politiche. Fascismo, feudalesimo, teocrazia e altre ideologie ataviche si basano sui modelli relazionali primordiali della Condivisione di beni comuni e della Gerarchia secondo autorità. Gli interessi dell’individuo si ritrovano sommersi all’interno di una comunità («fascista» deriva da «fascio»), e la comunità è dominata da una gerarchia militare, aristocratica o ecclesiastica. Il comunismo immaginava una Condivisione di beni comuni riguardo alle risorse («da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni»), una Comparazione secondo uguaglianza quanto ai mezzi di produzione, e una Gerarchia secondo autorità nel controllo politico (in teoria la dittatura del proletariato; in pratica una nomenklatura di commissari sotto un dittatore carismatico). Un tipo di socialismo populista persegue la Comparazione secondo uguaglianza per i beni di prima necessità, come terra, medicina, educazione e cura dei bambini. All’altro polo del continuum, gli ultraliberisti permetterebbero di negoziare praticamente qualsiasi risorsa, compresi organi, neonati, assistenza medica, sessualità e istruzione, sulla base della Valutazione secondo il mercato.

Incuneato fra questi due poli è il familiare continuum progressisti-conservatori. Diversi studi di Haidt hanno rilevato che per i progressisti la moralità consiste nel prevenire il male e imporre la giustizia (valori nella stessa colonna dell’Autonomia di Shweder e della Comparazione secondo uguaglianza di Fiske). I conservatori danno uguale peso a tutti e cinque i fondamenti, fra cui Appartenenza al gruppo/Lealtà (valori quali stabilità, tradizione e patriottismo), Purezza/Santità (valori come correttezza, decoro, e osservanza religiosa), e Autorità/Rispetto (valori come il rispetto per l’autorità, la sottomissione a Dio, il riconoscimento dei ruoli di genere e l’obbedienza militare). La guerra culturale negli Stati Uniti, con i suoi scontri su tasse, assicurazione sanitaria, welfare, matrimonio gay, aborto, dimensioni delle forze armate, insegnamento dell’evoluzionismo, oscenità nei media e separazione fra Stato e Chiesa, si combatte in gran parte su concezioni diverse delle legittime preoccupazioni morali dello Stato. Gli ideologi di ciascun polo, osserva Haidt, tendono a vedere i loro omologhi nell’altro campo come amorali, mentre in realtà il circuito morale nei loro cervelli arde della stessa fiamma, anche se ha concezioni diverse di ciò che la moralità include.

Prima di chiarire le connessioni fra psicologia morale e violenza, vorrei usare la teoria dei modelli relazionali per risolvere un enigma psicologico rimasto in sospeso dai capitoli precedenti. Molti progressi morali hanno assunto la forma di un mutamento di sensibilità che ha fatto apparire una certa pratica — come il duello, la corrida e la guerra sciovinista — più ridicola che peccaminosa. E molti efficaci critici della società, quali Jonathan Swift, Samuel Johnson, Voltaire, Mark Twain, Oscar Wilde, Bertrand Russell, Tom Lehrer e George Carlin sono stati autori di battute sferzanti piuttosto che di altisonanti profezie. Che cosa, nella nostra psicologia, permette che la battuta di spirito sia più potente della spada?

L’umorismo opera mettendo un pubblico di fronte a un’incongruenza che può essere risolta passando a un altro quadro di riferimento. E in questo quadro di riferimento alternativo il bersaglio della beffa ha uno status basso o indecoroso. Quando Woody Allen dice: «Sono molto fiero del mio orologio d’oro. Me l’ha venduto mio nonno sul letto di morte», gli ascoltatori restano di primo acchito sorpresi che un cimelio di famiglia emotivamente prezioso sia stato venduto e non donato, in particolare da una persona che dalla vendita non può trarre alcun profitto. Poi si rendono conto che il personaggio interpretato da Woody Allen non è amato e viene da una famiglia di eccentrici venali. Spesso il primo quadro di riferimento, che imposta l’incongruenza, è costituito da un modello relazionale dominante, e per cogliere la battuta il pubblico deve uscirne, per esempio passando, in quella di Allen, dalla Condivisione di beni comuni alla Valutazione secondo il mercato.

L’umorismo programmaticamente politico o morale può sotterraneamente mettere in discussione un modello relazionale che per le persone è ormai diventato una seconda natura, costringendole a vedere che esso porta a conseguenze che il resto della loro mente riconosce come assurde. La rapidità con cui Rufus T. Firefly, in La guerra lampo dei fratelli Marx, dichiara guerra in risposta a un insulto del tutto immaginario decostruisce l’etica della grandezza nazionale della Gerarchia secondo autorità, e questo fu colto e apprezzato in un’epoca in cui la guerra stava cambiando immagine e cominciava a sembrare inutilmente distruttiva e stupida, anziché emozionante e gloriosa. La satira ha fatto da acceleratore anche di mutamenti sociali recenti, come, negli anni Sessanta, le rappresentazioni di razzisti e sessisti come cavernicoli idioti e dei falchi nella guerra in Vietnam come psicopatici assetati di sangue. Anche in Unione Sovietica e nei suoi satelliti circolava una profonda corrente sotterranea di satira. Ne è un esempio la diffusa definizione delle due ideologie della guerra fredda: «Il capitalismo è lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo; il comunismo è l’esatto contrario».

Secondo la scrittrice settecentesca Mary Wortley Montagu, «la satira dovrebbe, come un rasoio ben affilato, / ferire con un tocco che appena si veda o si senta». Ma raramente la satira è così ben affilata, e a volte i suoi bersagli sono fin troppo consapevoli del potere sovversivo dell’umorismo. Accade che vi reagiscano con una rabbia alimentata dall’oltraggio intenzionale arrecato a un valore sacro, dall’insulto alla loro dignità, e dalla consapevolezza che la risata rivela che entrambe le cose sono conoscenza comune. I sanguinosi disordini provocati nel 2005 dalle vignette pubblicate sul quotidiano danese «Jyllands-Posten» (in una, per esempio, si vedeva Maometto accogliere in cielo attentatori suicidi appena arrivati dicendo: «Basta, siamo a corto di vergini!») dimostrano che, quando si mina deliberatamente un modello relazionale sacro, nell’umorismo non c’è niente da ridere.

In che modo i modelli relazionali che costituiscono il senso morale autorizzano i vari tipi di violenza che la gente sente moralmente legittimi? E qual è il grado di libertà che permette alle società di frenare la violenza moralistica o, meglio ancora, di costringerle a fare un passo indietro? Tutti i modelli relazionali invitano alla punizione moralistica di chi viola le loro regole d’ingaggio, ma ognuno di essi autorizza un tipo diverso di violenza.

Per gli esseri umani, osserva Fiske, mettersi in relazione usando uno di questi modelli non è affatto necessario. Coloro che non rientrano in un modello relazionale, uno stato che egli chiama «relazione zero o asociale», sono deumanizzati: vengono visti come privi delle caratteristiche essenziali della natura umana e trattati appunto come oggetti inanimati che si possono ignorare, sfruttare o depredare a piacimento. Una relazione asociale apre quindi la strada alla violenza predatoria della conquista, dello stupro, dell’assassinio, dell’infanticidio, del bombardamento strategico, delle deportazioni coloniali e di altri crimini di convenienza.

Porre altre persone sotto l’egida di un modello relazionale impone invece, almeno in qualche misura, l’obbligo di prendere in considerazione i loro interessi. Nella Condivisione di beni comuni sono inscritti simpateticità e calore, ma solo per i membri del proprio gruppo. Secondo Nick Haslam, collaboratore di Fiske, questo modello relazionale può portare a un secondo tipo di deumanizzazione: non la deumanizzazione meccanicistica di una relazione asociale, ma una deumanizzazione animalistica, che nega agli estranei i tratti comunemente percepiti come tipicamente umani, quali ragione, individualità, autocontrollo, moralità e cultura. Anziché essere trattate con freddezza o indifferenza, queste persone sono trattate con disgusto o disprezzo. Se la Condivisione di beni comuni può incoraggiare una simile deumanizzazione è perché gli esclusi sono considerati privi della pura e sacra essenza che unisce i membri della tribù e, agli occhi di questi ultimi, minacciano di contaminarla con i loro agenti inquinanti animali. Insomma, nonostante tutte le sue connotazioni di calore, la Condivisione di beni comuni supporta la mentalità sottesa a ideologie genocide basate su tribù, razza, etnia e religione.

Anche la Gerarchia secondo autorità ha due facce. Essa implica la responsabilità paternalistica di proteggere e aiutare i propri subalterni, e potrebbe quindi essere psicologicamente alla base del processo di Pacificazione, che vede i capi proteggere i sudditi dalla violenza intestina. In modo non diverso, fornisce le razionalizzazioni morali cui ricorrono schiavisti, colonizzatori e despoti benevoli. Ma la Gerarchia secondo autorità giustifica anche la punizione violenta dell’insolenza, dell’insubordinazione, della disobbedienza, del tradimento, della bestemmia, dell’eresia e della lesa maestà. Quando si salda alla Condivisione di beni comuni, questo modello relazionale giustifica la violenza di un gruppo contro un altro gruppo, fra cui la conquista imperiale e sciovinista e la sottomissione di caste subordinate, colonie e schiavi.

Più benigno è l’obbligo di scambio reciproco nella Comparazione secondo uguaglianza, in cui ogni parte ha interesse alla sopravvivenza e al benessere dell’altra. Questo modello relazionale favorisce inoltre un minimo di assunzione di prospettiva che, come abbiamo visto, può trasformarsi in autentica simpateticità. L’effetto pacificatore del commercio fra individui e nazioni dipende probabilmente da una forma mentis per la quale ai partner nello scambio, anche se non sono veramente amati, si attribuisce perlomeno un valore. Nello stesso tempo, tuttavia, la Comparazione secondo uguaglianza fornisce la giustificazione per la ritorsione colpo su colpo: occhio per occhio, dente per dente, vita per vita, sangue per sangue. Come abbiamo visto nel capitolo VIII, anche nelle società moderne si tende a concepire la sanzione penale soltanto in termini di «ciò che si merita», anziché di deterrenza generale o specifica.

Il ragionamento Razionale-legale, che nelle società alfabetizzate e con cognizioni aritmetiche integra il repertorio morale, non si presenta con idee intuitive o emozioni proprie, e di per sé non incoraggia né scoraggia la violenza. A meno che i diritti civili e la proprietà del corpo e dei beni siano esplicitamente riconosciuti a tutti, la ricerca amorale del profitto in un’economia di mercato può sfruttare le persone con la tratta degli schiavi, il traffico di esseri umani e l’apertura di mercati esteri con le cannoniere. Inoltre, l’impiego di strumenti quantitativi può essere volto a massimizzare il numero di vittime sul fronte avversario rispetto a quelle sul proprio, nella conduzione di guerre ad alta tecnologia. Tuttavia il ragionamento Razionale-legale, come vedremo, può anche essere posto al servizio di una moralità utilitaristica che calcola il maggior bene per il maggior numero, e fissa l’ammontare di forze armate e di polizia legittime al minimo necessario per ridurre l’ammontare complessivo di violenza.

Quali sono dunque i cambiamenti storici nella psicologia morale che hanno favorito riduzioni della violenza come quelle rappresentate dalla Rivoluzione umanitaria, dalla Lunga pace e dalle Rivoluzioni dei diritti?

La direzione del cambiamento nei modelli prevalenti è abbastanza chiara. «Nel corso degli ultimi tre secoli» osservano Fiske e Tetlock «si è assistito in tutto il mondo a una tendenza in rapida accelerazione dei sistemi sociali nel loro insieme a spostarsi dalla Condivisione di beni comuni alla Gerarchia secondo autorità, alla Comparazione secondo uguaglianza e alla Valutazione secondo il mercato.» E se prendiamo i dati dei sondaggi del capitolo VII come un’indicazione che i progressisti in campo sociale sono l’avanguardia di un cambio di atteggiamenti che, alla fine, trascinerà con sé anche i conservatori, i dati di Haidt sulle preoccupazioni morali degli uni e degli altri raccontano la stessa storia. Nel giudicare l’importanza delle preoccupazioni morali, ricordiamolo, i progressisti in campo sociale danno scarso peso ad Appartenenza al gruppo / Lealtà e Purezza / Santità (che Fiske fonde nella Condivisione di beni comuni), come ad Autorità / Rispetto. Essi investono tutte le loro preoccupazioni morali in Fare del male / Prendersi cura e Giustizia / Reciprocità. I conservatori in campo sociale, dal canto loro, distribuiscono il proprio portafoglio morale su tutte e cinque i titoli. Quindi la tendenza verso il progressismo in campo sociale è una tendenza ad allontanarsi da valori comunitari e autoritari in direzione di valori basati su uguaglianza, giustizia, autonomia e diritti sanciti dalla legge. Anche se forse tanto i progressisti quanto i conservatori negherebbero che sia in atto una tendenza del genere, pensiamo soltanto al fatto che oggi nessun politico conservatore accreditato farebbe appello a tradizione, autorità, coesione o religione per giustificare la segregazione razziale, escludere le donne dal mondo del lavoro o criminalizzare l’omosessualità, come avveniva solo pochi decenni fa.

Perché un disinvestimento di risorse morali da comunità, santità e autorità milita contro la violenza? Uno dei motivi è che la comunanza può legittimare il tribalismo e lo sciovinismo, e l’autorità la repressione governativa. Ma una ragione più generale è che il trincerarsi del senso morale in territori più piccoli diminuisce il numero di trasgressioni per le quali si può essere legittimamente puniti. Su certi elementi base della moralità fondata su autonomia e giustizia concordano tutti, che abbiano una visione tradizionale o moderna, progressista o conservatrice. Nessuno contesta l’uso della violenza governativa per mettere dietro le sbarre aggressori, stupratori e assassini. Ma i difensori della moralità tradizionale vorrebbero aggiungere a tale base consensuale un gran numero di infrazioni non violente, come omosessualità, licenziosità, bestemmia, eresia, indecenza e la profanazione di simboli sacri. Perché la loro disapprovazione morale abbia efficacia, i tradizionalisti devono ottenere che il leviatano punisca anche queste trasgressioni. Cancellarle dai codici significa togliere in gran parte alle autorità un motivo legittimo per manganellare, ammanettare, malmenare, imprigionare o giustiziare la gente.

A molti fa venire la pelle d’oca che le norme sociali prendano con decisione la strada della Valutazione secondo il mercato, ma estenderebbe a nuovi ambiti, nel bene e nel male, la tendenza alla nonviolenza. Gli ultraliberisti, che amano il modello Valutazione secondo il mercato, depenalizzerebbero prostituzione, possesso di stupefacenti e gioco d’azzardo, svuotando così le carceri del mondo di milioni di persone (oltre a far fare a ruffiani e signori della droga la fine dei gangster del protezionismo). L’avanzata verso la libertà personale pone la questione se sia moralmente desiderabile rinunciare a una certa quantità di violenza socialmente legittimata in cambio di una certa quantità di comportamenti che molti ritengono intrinsecamente sbagliati, come la bestemmia, l’omosessualità, il consumo di stupefacenti e la prostituzione. Ma il punto è proprio questo: giusto o sbagliato che sia, che il senso morale si ritiri dalle sue tradizionali sfere della comunanza, dell’autorità e della purezza porta con sé una riduzione della violenza. E questo ritirarsi è esattamente il programma del liberalismo classico: libertà degli individui dalla forza tribale e autoritaria, e tolleranza per le scelte personali finché non violano l’autonomia e il benessere altrui.

La direzione storica della moralità nelle società moderne non è solo un allontanamento da Comunanza e Autorità, ma un avvicinamento all’organizzazione Razionale-legale, e anche questo è uno sviluppo pacificatore. Fiske osserva che la moralità utilitaristica, con il suo obiettivo di garantire il maggior bene al maggior numero, è un caso paradigmatico del modello Valutazione secondo il mercato (che è a sua volta un caso particolare della mentalità Razionale-legale). Ricordiamo che fu l’utilitarismo di Cesare Beccaria a portare a una riforma della sanzione penale che, allontanandola dalla rozza sete di punizione, la indirizzò verso una calibrata politica di deterrenza. Jeremy Bentham usò il ragionamento utilitaristico per minare le razionalizzazioni che giustificavano la punizione degli omosessuali e il maltrattamento degli animali, e John Stuart Mill lo usò per una precoce difesa della causa femminista. I movimenti di riconciliazione nazionale degli anni Novanta, che videro Nelson Mandela, Desmond Tutu e altri operatori di pace rifiutare la giustizia dell’occhio per occhio, dente per dente a favore di una miscela di dichiarazioni della verità, amnistia e misurata punizione dei carnefici più perversi, furono un altro successo nella riduzione della violenza attraverso la proporzionalità calcolata. E lo stesso può dirsi della politica di rispondere a provocazioni internazionali con sanzioni economiche e tattiche di contenimento, anziché con attacchi di rappresaglia.

Se le recenti teorie della psicologia morale sono sulla strada giusta, le idee intuitive di comunanza, autorità, sacralità e tabù fanno parte della natura umana e probabilmente ci accompagneranno sempre, anche se cerchiamo di circoscriverne l’influenza. Non c’è necessariamente da allarmarsi. I modelli relazionali possono essere combinati e integrati, e il ragionamento Razionale-legale, che cerca di minimizzare la violenza globale, può dispiegare strategicamente gli altri modelli mentali in modi benigni.

Una versione della Condivisione di beni comuni, assegnata alla risorsa vita umana e applicata a una comunità costituita dall’intera specie, invece che da una famiglia, una tribù o una nazione, potrebbe diventare un puntello emozionale del principio astratto dei diritti umani. Siamo tutti una grande famiglia, e nessuno in seno a essa può attentare alla vita o alla libertà di nessun altro. La Gerarchia secondo autorità potrebbe autorizzare il monopolio statale dell’uso della violenza per prevenire una violenza maggiore. E l’autorità dello Stato sui cittadini potrebbe essere incorporata in altre gerarchie di autorità sotto forma di controlli ed equilibri democratici, come nel caso del presidente degli Stati Uniti, che può porre un veto a leggi del Congresso mentre, nello stesso tempo, il Congresso ha il potere di mettere sotto accusa e rimuovere il presidente. I valori sacri e i tabù che li tutelano potrebbero venire collegati a risorse che giudichiamo realmente preziose, come vite identificabili, confini nazionali, e il non uso di armi chimiche e nucleari.

Un ingegnoso riorientamento della psicologia del tabù al servizio della pace è stato recentemente studiato da Scott Atran in collaborazione con gli psicologi Jeremy Ginges e Douglas Medin e lo scienziato politico Khalil Shikaki. In teoria, i negoziati di pace dovrebbero avvenire in un quadro di Valutazione secondo il mercato. Quando gli avversari depongono le armi si genera un surplus, il cosiddetto «dividendo della pace», e i due fronti giungono all’accordo accettando di spartirselo. Ciascuno scende a compromessi sulle proprie richieste massime per godere di una parte del surplus, che è maggiore di quanto finirebbe per ricevere se abbandonasse il tavolo dei negoziati e dovesse pagare il prezzo di una prosecuzione del conflitto.

Purtroppo, la mentalità del sacro e del tabù può mandare all’aria anche i migliori piani elaborati da negoziatori razionali. Se nella mente di uno degli antagonisti un valore è sacro, è inestimabile, e non può essere scambiato con nessun altro bene, esattamente come non si può vendere il proprio figlio per nessun altro bene. Chi è infiammato dal fervore nazionalista e religioso considera sacri certi valori, come la sovranità su una terra venerata o il riconoscimento di antiche atrocità. Giungere su di essi a compromessi per il bene della pace o della prosperità è tabù. Il solo fatto che qualcuno possa pensarci lo smaschera come traditore, collaborazionista, mercenario, puttana.

I ricercatori hanno compiuto un audace esperimento. Invece di avvalersi del solito comodo campione di qualche decina di studenti pronti a compilare questionari in cambio di un po’ di soldi per la birra, hanno intervistato attori reali nella controversia israelo-palestinese: oltre 600 coloni ebrei in Cisgiordania, oltre 500 profughi palestinesi e oltre 700 studenti palestinesi, metà dei quali s’identificava con Hamas o la jihad islamica palestinese. All’interno di ciascun gruppo, l’équipe non ha avuto difficoltà a trovare fanatici che vedevano nelle loro rivendicazioni valori sacri. Quasi metà dei coloni israeliani ha dichiarato che, per quanto grande fosse il beneficio che se ne sarebbe potuto trarre, per il popolo ebraico non sarebbe mai stato ammissibile rinunciare a parte della Terra d’Israele, fra cui Giudea e Samaria (che costituiscono la Cisgiordania). Fra i palestinesi, oltre la metà degli studenti ha dichiarato che, per quanto grande fosse il beneficio che poteva derivarne, rinunciare alla sovranità su Gerusalemme era inammissibile, e l’80 per cento dei profughi ha dichiarato che sul «diritto al ritorno» dei palestinesi in Israele non era possibile alcun compromesso.

I ricercatori hanno diviso ogni gruppo in tre e hanno presentato ai loro membri un ipotetico accordo di pace, che richiedeva a tutte le parti un compromesso su un valore sacro. L’accordo era una soluzione a due Stati, in cui gli israeliani si sarebbero ritirati dal 99 per cento della Cisgiordania e di Gaza, ma non avrebbero dovuto assorbire i profughi palestinesi. Com’era prevedibile, la proposta non è stata ben accolta. Gli assolutisti di entrambi i fronti hanno reagito con ira e disgusto, aggiungendo che, se necessario, sarebbero ricorsi alla violenza per impedire che venisse attuata.

A un terzo dei partecipanti la proposta è stata resa più allettante con indennizzi in denaro da parte di Stati Uniti e Unione europea, per esempio 1 miliardo di dollari l’anno per un centinaio di anni, o la garanzia che il popolo avrebbe vissuto in pace e prosperità. Con questi zuccherini sul tavolo i non assolutisti, come previsto, hanno ammorbidito un po’ la loro opposizione. Ma gli assolutisti, costretti a prendere in considerazione un compromesso su un tabù, si sono dimostrati ancora più disgustati, arrabbiati e pronti a ricorrere alla violenza. Il che la dice lunga sulla visione del comportamento umano basata sul concetto di attore razionale in caso di conflitti politico-religiosi.

Tutto ciò sarebbe alquanto deprimente se non fosse per l’osservazione di Tetlock secondo cui molti valori apparentemente sacri sono in realtà pseudosacri, e anche un compromesso su un tabù, se abilmente riformulato, è possibile. In una terza variante dell’ipotetico accordo di pace, la soluzione a due Stati è stata integrata con una dichiarazione puramente simbolica del nemico in cui egli scendeva a compromessi su uno dei suoi valori sacri. Nell’accordo presentato ai coloni israeliani, i palestinesi avrebbero «rinunciato a qualsiasi rivendicazione del diritto al ritorno, per essi sacro» o sarebbe stato loro chiesto di «riconoscere il diritto storico e legittimo del popolo ebraico su Eretz Israel». Nell’accordo presentato ai palestinesi, Israele avrebbe «riconosciuto il diritto storico e legittimo dei palestinesi a un proprio Stato» e si sarebbe «scusata per tutti i torti fatti al popolo palestinese», o avrebbe «rinunciato a quelli che considera i suoi sacri diritti sulla Cisgiordania», o avrebbe «simbolicamente riconosciuto la legittimità storica del diritto al ritorno» (senza concederlo di fatto). La riformulazione ha cambiato le cose. A differenza delle tangenti in denaro o della pace, la rinuncia simbolica a un valore sacro da parte del nemico, specie quando rappresentava il riconoscimento di un proprio valore sacro, ha ridotto fra gli assolutisti l’ira, la repulsione e la volontà di appoggiare la violenza. Tale riduzione non ha reso gli assolutisti minoranza in nessuno dei due fronti, ma è stata abbastanza consistente da poter potenzialmente rovesciare i risultati delle rispettive ultime elezioni nazionali.

Le implicazioni di questa manipolazione della psicologia morale sono profonde. Scoprire qualcosa capace di ammorbidire l’opposizione di fanatici israeliani e palestinesi a quella che il resto del mondo riconosce come l’unica soluzione praticabile del loro conflitto si avvicina a un miracolo. Gli strumenti standard dei cosiddetti «grandi esperti della diplomazia», che trattano i contendenti da attori razionali e negli accordi di pace cercano di giocare su costi e benefici, rischiano di rivelarsi controproducenti. Quello che dovrebbero fare, piuttosto, se vogliono vedere aprirsi qualche spiraglio, è trattare i contendenti da attori moralistici e giocare sull’inquadramento simbolico degli accordi di pace. Non sempre il senso morale umano è un ostacolo alla pace, ma può esserlo quando si lascia libero sfogo alla mentalità del sacro e del tabù. Solo quando questa mentalità sarà riorientata sotto la direzione di obiettivi razionali, esso produrrà un risultato che può essere realmente definito morale.

Lungo estratto dal capitolo Moralità e tabù da Il declino della violenza, di Steven Pinker.

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Andrea Zanni

Digital librarian, former president of Wikimedia Italia. I work with books and metadata.